自我介绍

Uno dei miei più grandi dolori di questi anni è stato il sapere che le masserie pugliesi si vuotavano, che la terra si vendeva sottocosto e che il rapporto di quel contadino con sua Madre si era interrotto. La città, la tecnologia, il consumismo uccidevano un amore che, se pure difficile e talvolta opprimente, durava da secoli, dando frutti meravigliosi. Un paesaggio come altro al mondo non ce n’è, regno dell’ulivo, con quelle pianure disegnate dalle vigne e dai mandorli, con quelle case di campagna rugginose dalle linee severe, con quei trulli bianchi dalle linee coniche, e le pecore, i cavalli, il cielo chiaro, il sole e il mare. E le vendemmie, l’odore acre dell’olio appena spremuto, il pane caldo che usciva dal piccolo forno dalla bocca nera. E lo sfrecciare degli uccelli dalle valli, con l’eco dello sparo che li inseguiva; e i colori vivaci del Salento, dove pascolavano i buoi dalle grandi corna, così amati dai massari, e le stradine solitarie e invitanti. Dio e l’uomo, eccezionalmente d’accordo, hanno riversato su questa regione amore e fatica e ne hanno ottenuto in cambio stagioni felici di cultura della Magnagrecia, di arte barocca. Qui, il vivere è stato inserirsi nella natura, sentirla parte dell’uomo e, con mano leggera, senza violenza, si è goduto dei suoi frutti. E la cucina pugliese nasce da questa simbiosi. Più di ogni altra è cultura popolare, contadina. Semplice e raffinata insieme. La Puglia segna il tacco della Penisola, l’ultimo bastione del sud. Fino a Bologna il grasso usato per la cucina è il burro, dall’Appennino fino alla Puglia l’olio diventa padrone e signore. E dalla campagna arriva, con il sapore dolce dell’olio, la frisa e il tarallino. Invenzione femminile penso, nati dalla miseria e dagli orari spietati che la terra impone a chi trae da lei tutta la sua vita. L’Acqua sale con pane raffermo, avanzo dei giorni precedenti. Si mangia aggiungendo olio a crudo, pomodori maturi e sedano. “Il pane e le verdure sono la buona grazia di Dio. Non si può gettarli via”. E poi arrivano i fagioli bianchi, cotti nel fiasco nell’angolo del grande camino di sasso scolpito, tra le braci dell’ulivo, e i piselli dolcissimi, e poi quella ricotta salata, di sapore leggermente forte ma che si avvaleva del pascolo delle pecore e delle capre nell’erba odorosa del Tavoliere; e poi la Malvasia allegra, il Primitivo nero, il Negroamaro con il suo bel colore rubino, e in ultimo i fritti che celebrano l’olio, venerandolo come Dio. Non è una cucina ricca quella pugliese, rispecchia secoli di fatica delle classi contadine, di mezzadri, braccianti. Ma è anche la vittoria dei loro gusti sui padroni. Hanno finito per condizionarli con le loro intuizioni culinarie, insegnando loro parsimonia e frugalità. I piatti non sono mai sporchi di grasso, le porzioni mai abbondanti. Il pugliese è più un buongustaio che un mangione, non ama appesantirsi il cervello, ma che unisce al gusto del mangiare quello dello stare in tavola. E basta la genuinità dei pochi tradizionali piatti per farvi ritrovare il suo spirito pronto e acre, la straordinaria eredità culturale che possiede. Inconsciamente il pugliese, anche se inurbato, anche se in fabbrica, appena si allenta la stretta della vita di oggi, e si abbandona alle umane debolezze, se ne torna là dove è nato, nella terra, che ama ancora infinitamente e, nel suo ricordo, si purifica. Tutta la Puglia è legata alla natura, al mare. E l’ulivo è là, così come le vigne, a ricordarti che anche loro sono figli di Dio e parte di te. E se poi dopo una buona mangiata in un trullo immerso nella Valle d’Itria, passeggi per le stradine solitarie di campagna al rumore di fusa che compone il canto delle cicale, vorresti che il tempo si fermasse e che tutto il tuo vivere fosse in quell’attimo.